Mentre coltiviamo la speranza che la lotta al Covid-19 venga vinta al più presto, il mondo resta bisognoso di nuovi antibiotici per neutralizzare i microbi multi-resistenti. Sfortunatamente in aumento, anche per via di certe abitudini sbagliate.
Il 2020 (e temiamo gran parte del 2021) sarà ricordato nella storia come l'anno della pandemia di Covid-19, malattia infettiva che non solo ha messo in ginocchio i sistemi ospedalieri, ma ha sollevato molte importanti domande a tema salute. E mentre gli investimenti ingenti nei nuovi vaccini ci fanno ben sperare in una risoluzione del contagio da Coronavirus, il mondo intero deve prepararsi – questa volta per tempo - ad affrontare un'altra grande minaccia infettiva: i super batteri resistenti agli antibiotici.
Cosa sapere sui batteri resistenti agli antibiotici
Non è detto che ne abbiate già sentito parlare, ma quello della resistenza agli antibiotici è un fenomeno di strettissima attualità, fonte di preoccupazione per l'Organizzazione Mondiale della Sanità. In effetti, con la definizione antibiotico-resistenza ci si riferisce alla capacità di un dato batterio di resistere all'attività di un farmaco antimicrobico. C'è un altro elemento da conoscere e tenere a mente: molti di questi super batteri si stanno evolvendo e fortificando a causa dell'uso eccessivo, spesso smodato, di antibiotici in commercio, oltre alla mancata messa a punto di nuovi prodotti. Come è facile dedurre, lo scoppio della pandemia ha inevitabilmente distolto l'attenzione dai super batteri, ma la questione resta aperta e molto, molto urgente.
Abitudini da rivedere se abbiamo a cuore la nostra salute
Senza entrare in discorsi scientifici, da riservare ai veri esperti, è importante capire l'importanza di un uso cauto e sensato degli antibiotici esistenti, riservandoli ai casi in cui siano realmente necessari, evitando in ogni modo il fai da te. Alla comunità farmaceutico-medica, il compito di intensificare la ricerca per scoprire, sviluppare e testare nuovi e promettenti farmaci; alla comunità economica il dovere di stanziare fondi affinché questo lavoro sia reso possibile. Va chiamato in causa anche il comparto agricolo-alimentare, allevamenti inclusi, ovviamente: stime recenti e autorevoli evidenziano come questo settore copra da solo il 70% del consumo globale di antibiotici, usati di default per prevenire la proliferazione di infezioni. Il che ha senso, ma non può essere la norma. Tanto che si prevede la limitazione dell'uso di antibiotici ai solo casi in cui sia il veterinario ad autorizza il trattamento per trattare un animale malato. Serve un monitoraggio più attento, questo è fuori discussione.