Quando hai scoperto per la prima volta il tuo dono per la guarigione, il coaching o la guida degli altri, e come si è sviluppata questa consapevolezza?
Sono sempre stata intuitiva e chiaroveggente, anche se da bambina non avevo le parole per esprimere ciò che percepivo. I miei sogni parlavano per simboli, offrendo scorci di ciò che sarebbe accaduto. Li condividevo con mia madre, a volte predicendo perdite o transizioni, e lei mi chiedeva gentilmente di tenerli per me, consapevole della loro accuratezza. Fin da piccola, amici e parenti venivano da me nei momenti di disperazione, non per avere risposte, ma per essere testimoni. Capii istintivamente che la presenza poteva avere più potere delle parole.
La svolta arrivò dopo il mio trasferimento in Italia. Nel processo di guarigione delle mie ferite, incontrai la profondità di emozioni che avevo a lungo represso. Quella che un tempo consideravo rabbia divenne una fonte di trasformazione. Sotto, c'erano tenerezza, verità e una profonda comprensione della fragilità umana. Il cammino si rivelò non attraverso segnali drammatici, ma attraverso un sottile riconoscimento, la consapevolezza che la mia sensibilità non era mai stata un peso, ma una bussola. La mia vocazione non fu qualcosa che trovai; emerse come un ricordo di ciò che era sempre vissuto dentro di me.
Quali sono state le sfide o le resistenze più grandi che hai incontrato nel realizzare appieno il tuo scopo e come le hai superate?
La resistenza più potente proveniva da dentro, da quella voce che si chiedeva se fossi pronto, degno o abbastanza evoluto da lasciare spazio agli altri. Avevo portato con me molte identità attraverso carriere e ambienti diversi, e in quel movimento conviveva un'antica paura di essere invisibile o incompreso.
La chiarezza è arrivata quando ho iniziato a vedere le mie ferite come insegnanti sacre. Ogni esperienza, anche quelle dolorose, è diventata parte del percorso che potevo condividere con gli altri, esplorando le proprie profondità. Ho imparato che la saggezza non consiste nell'essere impeccabili, ma nell'essere pienamente presenti. Permettermi di evolvere senza autogiudizi mi ha dato la libertà di servire con autenticità. Ora vedo il mio lavoro come un processo vivo. La crescita continua, l'apprendimento continua, e in questo continuo dispiegarsi trovo sia forza che umiltà.